L’adolescenza è quel tratto dell’età evolutiva in cui l’individuo acquisisce le competenze e i requisiti per assumere le responsabilità di adulto. I principali compiti evolutivi di questa fase sono: instaurare nuove relazioni significative con i coetanei; accettare le modificazioni corporee; scoprire le pulsioni sessuali; acquisire indipendenza emotiva dai genitori; sviluppare la propria indipendenza anche economica ed infine acquisire un sistema di valori ed una coscienza etica ed un comportamento sociale responsabile.
Quando si parla di adolescenza è molto importante ricordarsi che, sia a livello fisiologico che psicologico, darle limiti fissi è un’impresa molto ardua. La difficoltà di questi confini si rintraccia anche nell’orizzonte nel quale essa nasce: parlare oggi di adolescenza è una nuova sfida, sia per lo sfondo sociale nel quale emerge, sia per la prospettiva di un adulto che ha il compito evolutivo di so-stare di fronte agli adolescenti, spesso senza certezze che guidano e risposte da dare. Dagli anni cinquanta, la nostra società sta vivendo cambiamenti accelerati, irreversibili e profondi che hanno profondamente modificato il nostro stile di vita e hanno messo in discussione i paradigmi della nostra antropologia. La nostra società definita postmoderna fa emergere la centralità del soggetto nel rapporto individuo-comunità. Nella condizione umana sono presenti due bisogni fondamentali: il bisogno di autorealizzarsi (essere se stessi) e quello di appartenere (i legami relazionali) che possono intrecciarsi in forme molto differenti a seconda di quale dei due viene privilegiato. Nella società postmoderna si predilige il primo e si assiste ad un venir meno delle spinte all’appartenenza, che non è più contenitiva, come in passato (l’esserci nel gruppo con i propri vissuti reciprocamente riconosciuti è negato ed emerge, di conseguenza, un bisogno di omologazione, lontano dal senso di condivisione). Le relazioni in questo modo diventano sempre più instabili e la costruzione dell’identità sempre più fragile. I legami di appartenenza vengono contestati fino a diventare indifferenti e problematici: è difficile camminare insieme. Ogni realtà viene letta da tanti punti di vista per cui diventa dominante la sensazione di un relativismo, dove nessuno può rivendicare un potere di verità nei confronti di un altro: unica logica è quella della autoreferenzialità che diventa autosufficienza (il “fai-da-te” come modello di apprendimento) e autorealizzazione a tutti i costi. La nostra società fluida in continua trasformazione richiede un “up date” continuo: bisogna essere sempre aggiornati e si tende a costruire modelli individuali, provvisori, revocabili (la metafora dell’”uomo modulare” di E. Gellner) che pongono l’individuo di fronte a sentimenti di solitudine, precarietà ed incertezza. Di fatti, la società descritta e l’adulto smarrito pongono le basi di una mancanza del ground relazionale. Gli adolescenti, definiti per questo orfani affettivi, crescono in un contesto familiare in cui la relazione è vista come secondaria rispetto alla autorealizzazione. L’affettività è vissuta come frammentaria e precaria, con una grande fobia del legame e una incapacità di tollerare la frustrazione (espressione del forte bisogno di affetto e protezione). Lo scarso senso di appartenenza porta anche l’adulto a continuare il processo di perfezionamento della propria identità nel momento in cui dovrebbe essere esempio e saggezza per il giovane di fronte a lui: il ragazzo interroga l’adulto e gli pone davanti domande che lui stesso si fa, nelle paure e nei desideri. L’adolescente si sente così di fronte ad uno smarrimento, composto dall’incertezza, che riguarda le relazioni, le prospettive future lavorative ed affettive (chi sono? Come funziona il mondo?) e dalla confusione dovuta alla mancanza di punti di riferimento (sarò in grado di…?). Vive su pelle il vuoto esistenziale, la mancanza di percezione del limite, la cecità verso i bisogni ed il dolore dell’altro. In questo clima, si scorge la complessità del compito evolutivo che porta con sé questa fase del ciclo vitale. L’adolescente vive una profonda disperazione di appartenere ad un mondo che non dà sicurezze ma che allo stesso tempo è complesso ed articolato e ricco di ipotetiche chances. Questo lo fa sentire fragile affettivamente e incapace di farcela da solo. Sente pressione, competitività, fragilità ma è allo stesso tempo indipendente, senza autonomia (o da solo o nulla). È autoreferenziale in quanto ha imparato dagli adulti che chiedere sostegno/aiuto rimanda ad un vissuto di incapacità e fragilità importante: si cresce da soli e da soli si cerca di dare senso. Cambia, per questo, anche il rapporto con le istanze regolative in quanto le regole non si discutono, si trasgrediscono, si contestano (chi lo ha deciso? Dove è scritto?) e, anche queste, non contengono.Tale mancanza di contenimento pone l’adolescente ad una continua sperimentazione come unico strumento di apprendimento: il fare esperienza (di qualsiasi tipo) viene percepito come l’unico modo per crescere; il bisogno di “realizzazione di sé” (l’ansia da protagonismo) sfocia nell’autoreferenzialità (culto del proprio punto di vista), offrendo spazio a fondamentalismi ed alla sensazione di inutilità e di umiliazione. I disagi giovanili sono legati al senso dell’esistenza, nel divario tra “non so chi sono” e “ho paura di non riuscire a diventare ciò che voglio”. In questo, emerge lo sconforto dell’impossibilità di mettere limiti ai propri bisogni e desideri, in una ricerca continua ed esasperata della felicità, che spesso porta ad una ingestibilità dei comportamenti impulsivi e violenti. Il disagio giovanile che sfocia in condotte devianti, abuso di sostanze, bullismo e violenza in generale sono un disperato tentativo di raggiungere il volto dell’altro, altro sconosciuto. Nella casa e nella polis, se non si pone attenzione a tale complessità, si va incontro ad equivoci, fraintendimenti, escalation di disgregazione ed a una conflittualità che sembra raggiungere punti di non ritorno. Il diritto di ogni soggettività a porre il proprio punto di vista e la propria autorealizzazione come elemento necessario per un progetto comune provoca indubbiamente tensioni estreme nel travaglio delle decisioni. In questo, rivela la sua massima importanza e unicità il bene relazionale. La relazione deve divenire contenimento e raccoglimento della frantumazione proprio quanto la caduta degli dei e la morte dei padri hanno scosso dalle fondamenta anche la scontata e fisiologica trasmissione di valori che avveniva tra generazioni. Compito aperto dell’ambito educativo e formativo diventa quindi quello di inventare un dialogo che non sia “unilaterale”, ma coinvolga piccoli e grandi. Bisogna puntare sulla creatività come capacità di trovare una narrazione che unisce. Infatti, nel superamento di questa fase del ciclo vitale così piena di cambiamenti il supporto di adulti che ascoltano ed accolgono le diversità e l’unicità dei ragazzi, riconoscendo i loro vissuti, le loro idee, la loro positiva forza aggressiva e le novità che porta con sé, risulta di grande importanza. Gli stessi adulti educati alla cultura della relazione possono dare senso ai tanti non senso degli adolescenti, percorrendo nuovi sentieri di condivisione. La sfida educativa attuale è educare i ragazzi alla corporeità e alla co-centralità. Riconoscere le emozioni, saperne dare un nome e tentare di integrare appartenenza e differenze, diviene essenziale. Bisogna far emergere la curiosità verso il punto di vista dell’altro, vivendo la diversità come ricchezza e non come lotta di potere. Lavorare sui sentimenti di tolleranza e rispetto è fondamentale per dialogare nella diversità dalla polis alla casa, uscendo quindi dalla autorefenzialità nel confronto con l’altro. L’atto creativo di crescita diviene atto di contatto: la creatività come capacità di vedere e sostenere il gesto bloccato verso l’altro. Importante è saper ascoltare gli adolescenti e continuare ad essere interessati proprio da ciò che non si condivide, continuando a parlare anche quando non si capisce. Bisogna scorgere il bisogno dell’adolescente di essere visto e confermato, dalle cose superficiali a quelle più impegnative. Arrivare a coniugare l’appartenenza con la libertà e l’autonomia è il punto di arrivo per far sbocciare tutte le potenzialità che gli adolescenti hanno. Coniugare l’autorevolezza con la curiosità ad apprendere dai giovani, dare suggerimenti ma saper ascoltare con interesse, amarli nella fiducia e dare ordini con rispetto del loro disordine, farà emergere ad entrambi il desiderio e la reale possibilità di crescere insieme per vivere e non per sopravvivere.
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